LA FOTOGRAFIA È MORTA. ANZI STA BENISSIMO

Cinque anni fa (18 luglio 2015, per la precisione) scrivevo nel mio profilo Facebook – prima che questo social fosse inquinato e utilizzato per avvelenare i rapporti tra persone – una nota di cui riporto una parte.

Il più bello e inatteso regalo che mio figlio Massimiliano potesse farmi è stata la riscoperta, nei meandri degli scatolini scampati a traslochi e distacchi, della mia collezione di vecchie riviste di fotografia: quasi 300 copie di vecchi PHOTO (edizione italiana e francese) e di ZOOM che vanno dal 1977 sin oltre la metà degli anni ’80.
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PHOTO n. 23 (edizione italiana), febbraio 1977.

Prima ancora di aprire PHOTO n. 23 (febbraio 1977) guardiamone il sommario di copertina: Avedon, Carrol, Haas, Vogt; anche considerando l’articolo tecnico sulla mitica torcia Metz 45CT1, si capisce subito che si parla di Fotografia, e intendo di immagine fotografica, non di fuffa tipo “migliora le tue foto di paesaggio in cinque minuti” e “come fare un bellissimo ritratto al tuo gatto, 1/il soriano”.

Che si parli di fotografia lo si capisce dalla splendida copertina dell’allora fotografo emergente Uwe Ommer.

A proposito di Uwe Ommer, mi piace pensare che il ritrovamento di questa copertina chiuda un cerchio: domani infatti si aprirà proprio sotto casa, a Spilimbergo, una sua mostra e gli verrà attribuito l’International Award of Photography patrocinato da Unione Industriali Pordenone.

Prendo in mano la rivista e la prima impressione è di sfogliare un catalogo d’arte: la carta è patinata, almeno 150g/mq, le immagini non presentano quasi traccia di retino tipografico, sono stampate a tutta pagina (qualcuna in doppia): 10/12 immagini per ognuno dei quattro autori, con testo critico e didascalie alla fine di quello che è un vero e proprio portfolio.

Doppia pagine del servizio dedicato a Christian Vogt.

Ogni numero di PHOTO e di ZOOM può essere sfogliato come un libro fotografico: la raccolta costituisce una antologia di portfolio di innumerevoli autori, dai più noti a quelli emergenti (come lo era Uwe Ommer nel 1977).

E mi chiedo come mai ora non esistano oggi pubblicazioni del genere, divulgative certo ma principalmente utilizzate come strumenti di studio per chi vorrebbe affacciarsi al mondo dell’immagine fotografica, così com’è stato per me alla fine degli anni Settanta; anche l’edizione francese di PHOTO, purtroppo, che continua in edicola da oltre 45 anni ed ha festeggiato proprio ora il suo numero 500 (conservando la sua copertina molto glam) pur informando in modo abbastanza completo sugli ultimi lavori degli autori, non ha più la stessa solida consistenza tipografica ed editoriale, non invita più al pensiero critico, si lascia sfogliare senza lasciare il tempo di riflettere: ogni foto passa e non sarà più ricordata, come in una galleria web.

Direte che adesso c’è il web appunto, è la rete che divulga le immagini; è vero, ma sul web si trova solo ciò che già si conosce. Sarò nostalgico, credo non si possa prescindere dalla carta; la stessa Fotografia  non può prescindere dalla sua stampa, fotografica o tipografica che sia. E se ora posso cercare sul web immagini che non ho ancora visto di Ernst Haas o di Christian Vogt è solo perché prima li ho visti pubblicati.

Esisto poiché conosco” intendeva dire Cartesio; l’interpretazione in senso strutturalista della sua affermazione ora suonerebbe “conosco poiché vedo”: nella radice fid troviamo condensato sia il concetto di vedere che di avere idea. Vedere significa pensare, e il pensiero genera consapevolezza della propria esistenza.

In mezzo al bombardamento di immagini, ragione di fortuna anche dei social network, c’è ancora spazio per divulgare e far conoscere le idee? Esiste ancora la possibilità affinché un progetto come il PHOTO delle origini possa avere nuovamente il senso di esistere?

Bisogna precisare che dalla fine degli anni Settanta, e poi per due decenni, la Fotografia stava vivendo un momento d’oro: l’industria meccanica giapponese sfornava fotocamere alla portata di tutte le tasche, quella chimica aveva abbattuto i costi di produzione delle pellicole e di sviluppo e stampa mediante l’introduzione dei minilab; le scuole professionali sfornavano fotografi che dovevano far fronte alla richiesta di album matrimoniali – nuovo status symbol famigliare, come la TV a colori – che fino al decennio prima erano per pochi privilegiati;  l’editoria – dal fotoromanzo, alla moda, ai settimanali illustrati – era principalmente appoggiata all’utilizzo dell’immagine fotografica. Oltre a PHOTO e ZOOM, l’editoria sfornava altre testate, riviste che venivano divorate dai fotoamatori sia alla ricerca di informazioni tecniche, che per conoscere i fotografi d’oltre oceano, contribuendo a promuovere l’educazione visiva di base.

La pubblicazione in fascicoli dell’opera dei più Grandi Fotografi era stata un’idea innovativa: all’epoca la finalità del lavoro, anche di grandi professionisti dell’immagine fotografica, era la pubblicazione editoriale su giornali e riviste, al più su cataloghi, non la realizzazione di fotolibri e mostre! Questi, o anche le semplici monografie postume, all’epoca erano rarissimi; queste monografie erano perciò un validissimo compendio che ha svolto non poca funzione didattica per chi si avvicinava alla fotografia. Tempi d’oro? No.

Collana I Grandi Fotografi, pubblicata da Fratelli Fabbri Editori, 1982.

Non è che questo fenomeno sia esattamente analogo a quanto sta succedendo ora grazie al digitale? Naturalmente le nuove tecnologie hanno imposto un cambiamento, un aggiornamento e un cambio di passo rispetto al quale molti non sono riusciti ad adeguarsi, perciò da anni sento parlare di “crisi della fotogafia”, di “morte del fotogiornalismo” (guarda un po’, un articolo su PHOTO del 1977 titolava proprio così…) quando in realtà la fotografia adesso si trova alla portata di tutte le tasche, e nelle tasche di tutti.
I fotoalbum si possono comporre facilmente da casa e ricevere in cinque giorni a prezzi irrisori; le riviste – al servizio dell’industria elettronica – che vendono fotografia non si contano più; le mostre fotografiche sono un investimento per le casse di molti enti; i concorsi fotografici sono spesso la manifestazione di punta di molti programmi culturali estivi e molti fotografi – anche di grido – lavorano quasi esclusivamente alla realizzazione di libri fotografici e mostre (le due cose sono commercialmente integrate) che assicurano loro proventi da star del cinema.

La Fotografia, da Daguerre in poi, non è mai stata meglio di così, se non fosse per quell’aspetto che prima ho chiamato educazione visiva di base e di cui lamentavo l’assenza nel settore dell’editoria divulgativa cinque anni fa mentre negli anni ’70 e ’80 era prevalente. Fino ad oggi, perché rispetto al 2013 ci sono novità.

Collana monografica sui Grandi Fotografi dell’Agenzia Magnum Photos. Progetti editoriali del 2018 e del 2011.

La casa editrice Hachette, che probabilmente ne detiene i diritti di distribuzione in Italia, aveva già proposto nel 2011 una serie di fascicoli per far conoscere alle nuove generazioni di fotografi digitali l’opera de I Grandi Fotografi dell’Agenzia Magnum, ma il ritorno in grande stile nel 2018 di questo progetto, con monografie ben strutturate e fotografie presentate in volumi di grande formato, è il segnale che il bisogno di cultura fotografica, e non più solo di megapixels, anche nell’editoria divulgativa si è fatto molto pressante. Certo che quando si tira in ballo Magnum Photos è facile vincere.

Lezioni di Fotografia, progetto editoriale di Oliviero Toscanni, RCS 2018.

Sicuramente molto più rischioso, arrogantemente ambizioso, innovativo e potente è il progetto edito da RCS in allegato alle proprie testate di punta. Devo dire che il primo approccio è stato un po’ urtante: non si capisce se il titolo della collana corrisponda alla mente che l’ha ideata, Olivero Toscani, o se coincida con il presuntuoso fine di impartire Lezioni di Fotografia.

Non spetta a me dire che Oliviero Toscani è il più grande comunicatore che ha fatto uso della Fotografia negli ultimi quarant’anni in Italia: definirlo solo fotografo è riduttivo, anche i termini art director e creativo risulterebbero parziali, ciò che ha realizzato – se lo si conosce – testimonia per lui. Certo è che Toscani o si ama o si detesta: più facile la seconda.
Porre il suo nome a caratteri maiuscoli in testa al fascicolo è sicuramente un deterrente all’acquisto dei volumi (non li definirò più fascicoli!) e nessuno dei fotografi che conosco – vabbè, fotografi di provincia – è stato tentato dal loro acquisto; molti ritengono che Toscani sia l’ultima persona dalla quale accettare Lezioni, meno ancora di Fotografia. Però bisognerebbe anche spiegare loro chi è Giovanna Calvenzi, per decenni fotoeditor (cioè la persona che va alla ricerca, che sceglie e che eventualmente commissiona le immagini da pubblicare) nelle principali testate giornalistiche, di cui si nota in modo evidente la mano nella realizzazione e composizione dei volumi tematici; la stessa Calvenzi cura anche la stessa rubrica tematica, con ineguagliabile conoscenza e competenza critica. Altre sintetiche rubriche, sulla fotografia tascabile (curata da Settimio Benedusi), sulla didattica (scuola Bauer) e sul mercato della fotografia – perché la fotografia è un prodotto! –, oltre a una significativa intervista, completano il volumetto.
Di cosa parla, allora Lezioni di Fotografia?

Lezioni di Fotografia, non parla di fotografia, non insegna fotografia: è LA fotografia.

Dorsi della collana Lezioni di Fotografia, progetto editoriale di Oliviero Toscani con la collaborazione di Giovanna Calvenzi e di Settimio Benedusi, RCS 2018.

È Fotografia perché non usa le parole per spiegarla, salvo le didascalie e qualche commento incisivo – spesso ironico e sarcastico allo scopo di far riflettere sul messaggio – del santone Toscani, perché non c’è distinzione di stile, di genere fotografico, di epoca e neppure di firma: una foto di Elliott Erwitt può trovarsi accostata a una di Alessandro Bianchi; non ci sono fotografi e Maestri, non c’è distinzione tra reportage e fotogiornalismo, tra fotografia sociale e fotografia sportiva, tra documento e testimonianza.
Soprattutto, a mio avviso, il grande pregio di queste Lezioni sta nel fatto che non si parla minimamente di fotografia artistica, concetto tanto caro ai fotoamatori che si improvvisano emuli proprio di quei fotografi che altre collane definiscono appunto Grandi Maestri.

La Fotografia NON è Arte, sembra dire Toscani, parafrasando un noto testo di Man Ray (La photographie n’est pas l’art, 1937) ed ha ragione; perché la Fotografia è essenzialmente Comunicazione, come qualsiasi opera d’arte che sia tale del resto. Ciò significa che non può esistere una immagine fine a se stessa, autoreferenziale, compiaciuta e affermativa della supposta creatività del fotografo: anche l’immagine fotografica deve farsi significante e portatrice di un significato, deve tramandare un messaggio. Una foto priva di messaggio è una foto senza senso: e questa è la perfetta sintesi di quanto Toscani sta affermando da sempre. Questa è la sua Lezione.