REALTÀ E RAPPRESENTAZIONE

La grossa questione riguardante Il fotografico (tutto quello che concerne il dibattito di pensiero intorno alla Fotografia) si può sintetizzare nel divario tra chi la considera puramente immagine e chi invece sostiene sia rappresentazione.
Se la differenza tra i due concetti non fosse ancora chiara, il Cinema – o meglio il video –, che con la Fotografia ha in comune alcuni aspetti tecnici, può farci da esempio: un documentario sulla guerra in Vietnam potrebbe, banalizzando, configurarsi come immagine, mentre il film Apocalypse Now non avrebbe problema nel essere definito una rappresentazione di quello stesso avvenimento.
In questo esempio, la Guerra in Vietnam come evento storico, dal punto di vista semiotico è definita col termine “referente”; del referente il documentario offre immagine e descrizione che si presuppone aderente alla realtà dei fatti – benché il documentario, come il reportage fotografico, non sia esente da una struttura narrativa di derivazione letteraria che guida il montaggio –; al contrario, il film risulta facilmente identificabile come rappresentazione simbolica, per quanto realistica, basata su una narrazione, anche questa con struttura letteraria – il soggetto e la sceneggiatura – chiaramente ascrivibili a una realtà altra, di tipo finzionale, che nessuno si sognerebbe di ammantare del giudizio di Verità.

I coniugi Abate, in tavola e nell’intimità

Sulla base di questo riduttivo esempio, nessuno rischierebbe di definire artistico un documentario che della realtà presenta l’immagine; al contrario il film di Scorsese da molti è considerato opera d’arte perché della realtà propone una, tra le tante possibili, rappresentazione che non si esita a riconoscere frutto della sua creatività.

Riassumendo le ragioni che hanno animato un caldo dibattito tra gli studiosi di Estetica mezzo secolo fa, se la Fotografia la si considera immagine non può essere arte; se invece ne riconosciamo la facoltà di essere rappresentazione possiamo annoverarla tra le nuove forme di Arte.

Ai circoli fotografici non è sembrato vero poter risolvere la questione mediante una soluzione inconsapevolmente banale, spezzando il legame che unisce la fotografia col suo referente, cioè con la Realtà, cercando di dare alla realtà stessa una visione narrativa. Perciò, nelle associazioni di fotoamatori troviamo chi da una parte – grazie anche alle possibilità offerte dal digitale – propone foto creative (fotomontaggi e fusioni) che mostrano visioni oniriche o fantastiche che nei propositi rimandano a correnti pittoriche (ancora un tradimento della specificità del medium fotografico!), ma che assomigliano più a scenari da videogioco fantasy; dall’altra alcuni cercano di mettersi in mostra inseguendo il sogno del reportage perfetto, di cui nessuno sente il bisogno e che nessuna testata giornalistica ospiterebbe, umiliando la dignità dei soggetti più deboli – vecchi sdentati e bambini piangenti – corredando il tutto con cronache di viaggio in cui tentano di risolvere i mali del mondo.

In sintesi, nei Circoli sembra che le uniche strade percorribili per vincere il drammatico confronto con l’Arte (e con la Pittura) sia dedicarsi alla fotoelaborazione o al pseudoreportage. Questo si insegna. Pochi, purtroppo, insegnano a guardare le cose con occhi diversi, a staccarsi dalla consuetudine dello sguardo, a guardare con nuovi occhi le cose apparentemente banali, a ricoprire nel nostro inconcio le immagini significanti, quelle capaci di accendere la mente e portarci in altre dimensioni della realtà. Bisogna cercare l’autentico legame dell’immagine col suo referente.

C’è una realtà che nessuno vede semplicemente perché non viene cercata e perciò non appare, eppure ce l’abbiamo davanti agli occhi. Dobbiamo esercitare la nostra capacità di astrazione per elevarci a un livello metafisico, come l’avrebbe definito De Chirico:

«…ma ammettiamo che per un momento e per cause inspiegabili ed indipendenti dalla mia volontà si spezzi quella collana (dei ricordi che ci fanno riconoscere le cose), chissà come vedrei (…), chissà quale stupore e quale terrore e forse anche quale dolcezza e quale consolazione proverei io guardando quella scena. La scena però non sarebbe cambiata, sono io che la vedrei sotto un altro angolo. Eccoci all’aspetto metafisico delle cose».

Per fare Fotografia non serve essere maghi di Photoshop, non serve fare viaggi esotici.  È sufficiente guardarsi intorno.
Anche dentro il frigo.